Intervista con Giulio Massobrio
Ci sono libri che ti ricordi anche solo per lo scenario, per l’immaginario che mettono in gioco:
non semplice contesto, ma attore protagonista. Ecco, è così anche Rex, il libro di Giulio Massobrio (Bompiani, 538 pp., 19 euro), in finale alla ormai prossima edizione 2015 del Bancarella. I tentativi di definizione potrebbero (vanamente) accavallarsi: giallo storico, spy story, thriller. Comunque:
questo è un romanzo appassionante, all’insegna della commistione dei generi, in cui, sì, davvero, lo sfondo fa la parte del leone nell’intrico di storie e trama, nel plot articolatissimo immaginato dall’autore.
Il Rex che da il titolo (e che qui spunta pure dalla tempestosa copertina, in mezzo a un mare in burrasca ), era non solo una nave, ma una vera e propria leggenda: il più grande transatlantico italiano varato in età contemporanea, erede diretto di quei primi colossi del mare ritratti dai manifesti Art déco, firmati da artisti del calibro di Cassandre, Redon, Cappiello, a fine Ottocento e poi ai primi del Novecento. Monumento di storia tecnologica e poi del costume, il suo varo avvenne nel 1931 a celebrare anche, nei piani del regime, l’efficacia della potenza industriale fascista.
Solo pochi anni dopo, a bordo, si svolge, in questa fiction, la parte centrale della trama immaginata dall’autore alessandrino. 1938: Nancy è una giovane archeologa americana che, di ritorno da Genova, porta con se una pergamena preziosa, di età romana, reperita a fatica e che contiene segreti interessanti per i vertici del Terzo Reich. Nancy lo immagina, anzi lo sa: è seguita, è in pericolo e allora non si fida, del suo prezioso ritrovato fa fare una copia. Quasi perfetta. Sarà Hans Keller, uno dei più spietati agenti nazisti, a cadere nel tranello, a trafugargliela. Solo a distanza di anni, sul finire del secondo conflitto mondiale, dopo essere stato obbligato a riconoscere il proprio errore, egli dovrà cominciare un duello appassionante con un agente statunitense, Martin Davies, per rientrare in possesso del ben nascosto originale della pergamena. In palio il destino del conflitto.
A Giulio Massobrio chiediamo innanzitutto della sua passione per la Storia. Che, sotto la sua penna, sembra un repertorio di coincidenze meravigliose, di segreti da portare al pubblico dei lettori. E’ così?
Esatto. La grande Storia è del resto un insieme di storie. Anzi: di storie di tutti noi. Di tutti quelli che ci hanno preceduto e di quelli che ci seguiranno. Non è un caso: Rex è scritto al presente e non al passato. E’ una scelta non solo stilistica: il lettore deve trovarsi partecipe della situazione perché è chiamato in causa. E’ un protagonista a sua volta. E’ un personaggio della Storia e lo è così tanto da essere, in qualche modo, a fianco di quelli di cui legge sulla pagina
Di formazione lei è storico militare. La aiuta o la limita, nella stesura, il suo sapere scientifico?
Tutte e due le cose insieme. Le avventure di cui racconto sono a volte molto “sparate”. Però sono sempre nel limite del possibile, nel contesto storico che avvicino. Non è sempre semplice tenersi a freno! La scrittura certe volte ti prenderebbe la mano. E’ molto divertente, pure. E’ pirandelliano. Creare un personaggio inglese parlando e pensando l’inglese del tempo. Poi immaginare un agente tedesco abbigliato secondo la moda germanica dell’epoca..
A noi è parso, questo romanzo, anche un modo per rendere uno scenario, un intero periodo storico protagonista della narrazione. E’ d’accordo?
Sì. Rex esiste nell’immaginario e in qualche modo detta le condizioni. In fase di documentazione ho parlato con molte persone e tutte, curiosamente, utilizzavano la stessa espressione: «Il Titanic è affondato. L’Andrea Doria è affondato. Rex è morto». Perché, in definitiva, questa nave era considerata un’altra cosa. I miti possono morire ma non affondare.
Poi, certo, nel mio libro ci sono le città: Genova, Trieste. Assolutamente le ho volute protagoniste.
Ecco, faceva riferimento ai luoghi: ce ne sono moltissimi, nel libro. Come si impongono alla sua attenzione?
Ho un’officina creativa complessa. Ho una moglie con cui ho un confronto continuo e che lavora moltissimo con me, durante la stesura. Per il resto non saprei bene spiegare. A me ci sono luoghi che semplicemente dettano storie. Che ti entrano dentro e prima o poi vengono fuori. Il cimitero di Staglieno. Quella Chiesa a Roma dove c’è l’estasi di Santa Teresa. Credo si possa dire che è un discorso di bellezza, indipendentemente da ogni credo religioso.
Dopo i luoghi i personaggi: sono tutti dettagliatissimi, molto particolari. Ce n’è uno cui si è affezionato?
Difficile da dire. A me, più da lettore che da scrittore, è piaciuta moltissimo la suora del convento con cui Martin ha questo contatto così strano ed emotivamente forte. Perché la suora racconta bene, anzi riassume come veniva vista l’Italia di quel periodo da fuori, con gli occhi di uno storico del’arte anglosassone . Mi ha emozionato.
Felice di essere finalista al Bancarella?
Moltissimo. E al di là della finale: nei diversi appuntamenti del Premio ho scoperto una umanità bella e diffusa. Persone entusiaste e simpatiche che fanno sempre di più di quello che è richiesto. Un’altra cosa che mi ha colpito molto è stato il rapporto con i librai, che oggi davvero tirano con i denti ma hanno sempre una grande gentilezza, Ti regalerebbero i libri, qualche volta. E il loro è un regalo importante. Posso aggiungere anche un’altra cosa?
Prego.
A girare l’Italia per il Bancarella mi sono divertito come un matto. Anche con i miei colleghi scrittori. Siamo stati una bella sestina. Nessuno ha mai cercato di prevaricare un altro. E sia chiaro: divertirsi è una cosa molto importante!